La prova nel nuovo processo penale
di Roberta Di Martino
La ricerca della prova costituisce l’obiettivo di ogni indagine. Dalla formazione di essa dipende l’esito dell’intero processo penale, ma cosa si intende con il termine prova? Quando e con quali modalità si forma una prova nell’ambito del processo penale italiano?
La prova è quel ragionamento in base al quale da un fatto noto si deduce l’esistenza del fatto storico da provare, nonché le modalità con le quali esso si è verificato. Provare vuol dire indurre nel giudice il convincimento che il fatto storico sia avvenuto secondo una determinata modalità.
La regola generale vigente nel nuovo sistema accusatorio impone che i risultati probatori utilizzabili ai fini della decisione del giudice siano solo quelli acquisiti in dibattimento nel rispetto del contraddittorio delle parti. Non per questo, tuttavia, deve considerarsi improprio parlare di prova anche nelle altre fasi processuali.
Il termine “prova”, infatti, può assumere diversi significati. Benché la legge non ne fornisca una definizione, nel nostro codice di procedura penale possono rinvenirsi differenti locuzioni inerenti al fenomeno probatorio.
Fonte di prova: sono le persone, le cose e i luoghi dalle quali possono essere tratte tutte le informazioni utili a ricostruire il fatto.
Elemento di prova: è l’informazione che si ricava dalla fonte di prova, ma che ancora non è stata sottoposta al vaglio del giudice.
Risultato probatorio: viene a formarsi a seguito della valutazione del giudice in ordine alla credibilità della fonte di prova ed all’attendibilità dell’elemento ottenuto.
Sarà pertanto solo quest’ultimo risultato ad essere utilizzato dal giudice ai fini della sua deliberazione, purché questo sia stato acquisito in dibattimento secondo le modalità previste dalla legge.
I mezzi di prova sono gli strumenti legali attraverso i quali si acquisiscono al processo gli elementi probatori. La disciplina dei mezzi di prova è concepita in relazione alla fase dibattimentale, essi costituiscono gli istituti giuridici preordinati a introdurre nel processo i dati di ricostruzione del fatto. Il codice di procedura penale elenca i mezzi di prova tipici, ossia quelli regolamentati dalla legge nelle loro modalità di assunzione:
testimonianza;
esame delle parti;
confronti;
ricognizioni;
esperimenti giudiziali;
perizia e consulenza tecnica;
documenti.
Accanto ai mezzi di prova tipici può essere ammessa anche la c.d. “prova atipica”, ossia il mezzo di prova non disciplinato dalla legge. Il nostro sistema processuale non impone un’assoluta tassatività dei mezzi di prova da impiegare nel processo, ma al contrario, la possibilità di ricorrere anche alle prove atipiche consente di utilizzare nel nostro processo penale anche gli eventuali nuovi metodi di acquisizione degli elementi di prova che il progresso scientifico e tecnologico potrà elaborare in futuro, purché siano idonei ad assicurare la ricostruzione del fatto e non siano lesivi della libertà morale della persona. Requisito fondamentale, infine, per la loro assunzione è il contraddittorio delle parti.
Dai mezzi di prova poi devono distinguersi i mezzi di ricerca della prova. Trattasi di attività destinate ad essere compiute principalmente nella fase delle indagini preliminari. Al contrario dei mezzi di prova, che sono direttamente utilizzabili da parte del giudice in sede di decisione, i mezzi di ricerca della prova non sono di per sé fonte di convincimento per l’autorità giudiziaria, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria. Attraverso di essi non si costruisce processualmente un dato probatorio, ma si individuano dati esistenti fuori dal procedimento (es. documento). I mezzi di ricerca della prova elencati dal nostro codice sono:
ispezioni;
perquisizioni;
sequestri;
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Nel nostro ordinamento, inoltre, è possibile provare l’esistenza di un fatto anche mediante indizi. Con tale ultima locuzione ci si riferisce a quel ragionamento che da un fatto provato (c.d. circostanza indiziante) ricava l’esistenza di un ulteriore fatto da provare. Il collegamento tra la circostanza indiziante e il fatto da provare è costituito da un’inferenza basata su una massima di esperienza o su una legge scientifica. L’indizio è definito anche “prova critica” poiché consente di pervenire alla negazione o affermazione di un estremo della fattispecie criminosa solo mediante un ragionamento inferenziale. Da qui ne deriva la limitazione posta dal nostro ordinamento giuridico che permette di desumere l’esistenza di un fatto da indizi soltanto laddove essi siano gravi, precisi e concordanti.
Bibliografia
A. Gaito, La prova penale, Utet Giuridica, Torino, 2008.
AA. VV., Manuale di procedura penale, Monduzzi Editore, Bologna, 2008.
P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè Editore, Milano, 2013.