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I Serial Killer



Il termie “Serial Killer” viene utilizzato per la prima volta nel 1957 e da allora diverse classificazioni, da parte di vari autori, sono state fatte. Ma cosa racconta di sé l’omicida seriale agli investigatori che si trovano sulla scena del crimine?



Nel 1957, il criminologo James Reinhardt, utilizza per primo la definizione di “chain killer”, per indicare l’assassino che commette una “catena” di omicidi; prima di allora, tutti quei casi in cui un soggetto uccideva più di una vittima andavano sotto il nome di omicidi multipli.

Nel 1988 il National Institute of Justice statunitense elabora una prima descrizione di ciò che si intende per omicidio seriale: l’uccisione di una serie di due o più soggetti, delitti separati e commessi, generalmente, da un unico autore. I crimini possono essere attuati con un intervallo di tempo che va da poche ore ad alcuni anni, e il movente va ricercato nella gratificazione di un bisogno psicologico profondo dell’assassino.


E’ Robert Ressler, agente speciale dell’FBI, che utilizza per primo il termine serial killer. L’autore, insieme a John Douglas e Ann Burgess, pubblica nel 1992 il Crime Classification Manual, un vero e proprio trattato sui crimini violenti, dove la classificazione si basa sul movente del criminale. Anche il CCM dà una propria definizione di serial killer: “Tre o più eventi omicidiari, commessi in tre luoghi differenti, separati da un intervallo di “raffreddamento emozionale” (cooling-off period).


Il concetto di cooling-off permette di comprendere come l’assassino seriale sia soggetto ad un ciclo, che inizia con una progressiva eccitazione, si muove dalla preparazione dell’evento in forma di fantasia sino alla sua realizzazione, e si conclude con un momento, successivo al delitto, di scarico emozionale. Può essere un periodo di durata variabile, a cui fa seguito il nuovo imporsi di un’altra fantasia sadica, di una fase di progettazione, di identificazione della vittima, di appostamento, di pedinamento, cattura, morte.


Negli ultimi anni, anche l’unità specializzata dell’FBI si è allineata alla commissione del National Institute of Justice, nel ritenere sufficienti due vittime e non più tre per poter parlare di omicidi seriali.


L’FBI, alla definizione di serial killer, aggiunge quella di mass murder e spree killer.


Con il termine mass murder, “omicidio di massa”, gli esperti dell’FBI identificano l’uccisione di quattro o più persone da parte di uno o più autori, nel corso di un unico evento che si realizza nel medesimo luogo. La strage si conclude di solito con il suicidio dell’autore, che pone fine direttamente alla propria vita, oppure si espone ai colpi delle forze di polizia chiamate all’intervento. Molto spesso il movente va ricercato in un sentimento di frustrazione nei confronti di coloro che sono ritenuti ingiusti persecutori; poco importante se tale elemento non sia reale, ma faccia parte del delirio paranoico di una mente malata.


Lo spree killer, o omicida compulsivo, colpisce a morte più vittime, in due o più luoghi differenti. Le aggressioni sono parte di un unico evento: l’assassino uccide ripetutamente, senza che vi sia un momento di raffreddamento emozionale, tutto diviene parte di un singolo momento distruttivo. Come nel caso del mass murder, lo spree killer, non si nasconde; si muove in una sorta di dichiarata sfida, che lo conduce spesso alla morte, una morte non di rado ricercata. In alcuni casi è proprio la spinta all’annientamento personale che spinge verso la strage. La fine avviene con un suicidio, o con uno scontro a fuoco altrettanto suicida.


Quando si ha a che fare con crimini seriali, la scena del crimine acquista molta importanza perché, con il ripetersi degli omicidi, il serial killer inevitabilmente racconta qualcosa di sé agli investigatori. Come diceva Locard, nel suo famoso principio di interscambio: “Quando due oggetti entrano in contatto tra loro, ne deriva un trasferimento di materiale dall’oggetto “A” all’oggetto “B” o viceversa, oppure si ha un trasferimento reciproco”.


Le caratteristiche principali del serial killer evidenziabili sulla scena del crimine sono:

  • Il modus operandi, ovvero l’insieme dei comportamenti, delle azioni che il criminale compie per realizzare il proprio delitto. Può modificarsi da un delitto all’altro, in base all’esperienza.

  • La firma (signature), a differenza del modus operandi, non rappresenta un comportamento indispensabile per portare a compimento l’azione criminale. Evidenzia, piuttosto, un bisogno psicologico profondo, un messaggio più o meno consapevole lanciato agli investigatori e, come tale, si presenta con costanza nei successivi delitti.

  • La forensic awareness, altro elemento fondamentale del comportamento dell’assassino. In sostanza si può definire come l’attenzione del criminale a tutti quegli accorgimenti prima, durante e dopo la commissione del reato, finalizzati a non lasciare tracce o indizi che possano far risalire alla sua identità.

  • Lo staging si riferisce alle caratteristiche della scena del crimine e alla disposizione della vittima. Significa, messa in scena e rappresenta la deliberata alterazione della scena del crimine prima dell’arrivo delle forze di polizia.

  • L’undoing, traducibile con “disfare”, “annullare” e rappresenta una deliberata modificazione del luogo in cui è stato commesso un crimine; va attribuita al rimorso dell’assassino, che si sente in qualche modo colpevole del delitto e cerca di prenderne le distanze, quanto meno sul piano simbolico. Può, ad esempio, ricoprire il volto della vittima, spostarne il corpo, ricomporlo in una posizione di dignità, ecc.

Dai primi studi pionieristici dell’FBI, anche la letteratura scientifica internazionale sull’argomento si è moltiplicata e diversificata, con l’obiettivo di trovare il maggior numero possibile di elementi che consentano di decifrare la contorta e sfaccettata personalità dell’assassino seriale.

Per i ricercatori, l’omicidio seriale rappresenta una modalità comportamentale unica e originale, che fonda le proprie radici e si alimenta nella violenza. Il comportamento criminale è comunque un comportamento umano, pertanto costituito da un’integrazione tra eredità e ambiente.



Bibliografia



Federal Bureau of Investigation, (1985), Crime Scene and Profile Charasteristics of Organised and Disorganised Merderers, FBI Law Enforcement Bullettin, 54 (8), pp. 18-25.


Lucarelli C., Picozzi M., (2003), Serial killer. Storie di ossessione omicida., Milano, Arnoldo Mondadori Editore.


Mastronardi V.M, DeLuca R., (2006), I serial killer. Il volto segreto degli assassini seriali: chi sono e che cosa pensano? Come e perché uccidono? La riabilitazione è possibile?, Roma, Newton Compton Editori.


Ressler R., Douglas J.E., Burgess A.W., Burgess A.G., (1992), Crime Classification Manual, San Francisco, Jossey Bass Publishers.


Schechter H., (2003), Furia omicida. Viaggio nel mondo dei serial killer., Milano, RCS Libri.




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