Dietro il sipario di Dieselgate
Nell’occhio del ciclone economico e mediatico, si pone il Gruppo Volkswagen, dopo l’accusa mossa dall’autorità statunitense per la protezione ambientale di aver adoperato delle strumentazioni non proprio ortodosse per truccare i dati circa le emissioni in sede di omologazione. Al di là del dispiacere per il colpo ricevuto da uno dei marchi più prestigiosi che l’Europa può vantare, chi può beneficiare di uno scandalo simile, oltre all’italiano medio che finalmente potrà comprare una Golf senza vendersi la moglie?
Secondo la Enviromental Protection Agency (EPA) il Gruppo Volkswagen avrebbe montato sulle centraline a 4 cilindri dei diesel delle sue auto, dal 2009 al 2015, un software in grado di falsare i test ufficiali di controllo di emissioni gas.
Molto brevemente, il software, sarebbe in grado di modificare il funzionamento del motore in sede di “esame”, in modo tale da abbattere grandemente le emissioni. Una volta finito il test, i livelli di inquinamento tornerebbero allo stato di normalità, divergendo da quelli registrati dall’EPA.
Sono stati ritirati 11 milioni di veicoli del Gruppo Vw e, tra tutti i costi dell’operazione, secondo gli esperti, si andrà in contro ad un totale che si orienta attorno ai 20 miliardi di dollari.
Inutile dire che la borsa ne ha sentito il contraccolpo. Di fatti, l’evento ha avuto un impatto durissimo: la sola perdita per il calo dei titoli Volkswagen è di 8,4 miliardi di dollari.
Ma oltre alle problematiche finanziarie, alla sfiducia dei consumatori e ai licenziamenti paventati, dietro l’angolo vi sono anche altre voci. Voci di complotto.
La guerra tra Vw e Toyota in territorio statunitense. Tra la casa tedesca, che punta sul diesel, e quella nipponica della Toyota, che invece predilige l’ibrido a benzina, vi era una lotta per conquistare il Nord America. Entrambe miravano a mettere sul mercato auto con un costo di gestione inferiore a quelle americane. Ma dato che la Vw non sarebbe mai stata in grado di esportare auto in regola con le disposizioni ambientali, allora si è ricorsi al software miracoloso.
Si parla anche di lotta intestina per la leadership all’interno del Gruppo Vw. Ferdinand Piëch, il presidente del consiglio di sorveglianza ed erede della famiglia Porsche, durante i mesi primaverili dell’anno, aveva lanciato pesanti accuse nei confronti dell’ AD Winterkorn. In particolare, lo accusava di non aver fatto abbastanza per consentire a Vw di sfondare sul mercato americano. Attualmente, Winterkorn ha dovuto dare le dimissioni e, a prendere il suo posto, è stato nominato Matthias Müller, uomo dell’AD di Porsche.
Non manca infine l’ipotesi geopolitica: un modo come un altro per affossare l’economia europea?
Considerate le leggi ambientaliste tedesche, le quali sono tra le più avanzate e attente alla natura, è verosimile, che gli Stati Uniti temano che la Germania, avendo a disposizione l’enorme bacino di materie prime provenienti dalla Russia, con la quale sono stati stipulati importanti patti, accentui la politica di germanizzazione europea.
In sostanza, considerando che ultimamente l’economia cinese sta vivendo fasi di progressiva erosione dei propri livelli di crescita, la preoccupazione americana sarebbe quella di un confronto tra Nord America e “Grande Europa”, che si estenderebbe dagli Urali all’Atlantico. Di qui, la possibile intromissione dei Servizi americani nell’affaire Vw.
Dunque, numerose sono le voci di un complotto contro la Germania. La stessa che ora potrebbe chiedere all’Unione Europea di fare ricorso agli aiuti di Stato.