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Giulio Regeni: storia di un depistaggio.



Goffe le ipotesi delle autorità egiziane circa l’omicidio di Giulio Regeni. Ma quale verità?



Dal 25 gennaio 2016 non si ha più notizia di un ragazzo, uno studente, un italiano. Si tratta di Giulio Regeni.


Chi è costui? Ventottenne, ricercatore universitario alla London School of Economics. Si trova in Egitto per il conseguimento di un dottorato, la cui tesi verterà sull’economia locale del paese.


Qualche settimana dopo, il 3 febbraio, viene ritrovato il suo cadavere, accanto all'istituto Hazem Hassan sulla strada desertica che congiunge Cairo ad Alessandria. Il corpo è totalmente nudo dalla cintola in giù, senza documenti. Numerose ferite lo dipingono.


L’assenza dei documenti, insinua negli investigatori il dubbio che sia stata una rapina o un sequestro. Difatti, il 3 febbraio, prima di avvisare il consolato italiano del ritrovamento del corpo, è stato convocato in commissariato per un interrogatorio, il ricercatore italiano con cui Giulio era in contatto, e con il quale aveva scritto un articolo apparso sul quotidiano “Il Manifesto”.

Informazioni circa la vita privata di Giulio: stile di vita e abitudini, se avesse una fidanzata o meno e se facesse uso di stupefacenti. L’obiettivo, ovviamente, era quello di acquisire elementi utili al fine di far collimare l’ipotesi della rapina (o di un sequestro/omicidio) con lo stile di vita della vittima.


Il tentativo fallisce.


Successivamente, viene svolta l’ autopsia in loco: Giulio, senza dubbio, è morto in seguito ad un incidente. Lo testimonierebbe un’ edema cerebrale.


Ma quel corpo parla e viene ascoltato durante l’esame effettuato a Roma. A quel ragazzo sono state strappate le unghie, sia delle dita delle mani che dei piedi. Sono state fratturate sistematicamente le falangi e gli è stato mutilato un orecchio. È stato ripetutamente percosso al torace, alle costole e alla schiena. Quanto al colpo fatale, non è stata una tumefazione cerebrale ad ucciderlo, quanto la frattura della prima vertebra cervicale causata da una violentissima e innaturale torsione del collo.


L’ultima bizzarra pista messa in piedi dal governo egiziano riguarda il coinvolgimento di una fantomatica banda criminale specializzata nel sequestri di stranieri, sterminata in un conflitto a fuoco con la polizia. Nell’appartamento, abitato dalla sorella del capo di questa banda, sempre secondo il governo, sarebbero stati trovati degli oggetti appartenenti a Giulio. Peccato che di tutti gli effetti personali, pubblicati e diffusi dal Ministero degli Interni, come il borsone con lo stemma dell'Italia, i telefonini, gli occhiali da sole e l'hashish, solo i documenti appartengano al ricercatore italiano. Inoltre, secondo questa ricostruzione, Giulio sarebbe stato preso dalla banda di assassini il 25 gennaio, giorno dell’anniversario della rivolta di piazza Tahir. Troppa polizia per questo genere di assassini.

E allora ci si chiede: siamo ancora davanti ad un incidente? Ad una rapina andata male? A fantasiosi assassini a spasso per la città?


No. L’affannosa ricerca di un movente da parte delle autorità egiziane, continua a non dare i frutti sperati.


La verità è che Giulio è stato ucciso deliberatamente e con modalità del tutto compatibili con quelle adottate dai famigerati “squadroni della morte”, costola degli apparati dei servizi segreti egiziani. Apparato che sicuramente il 25 gennaio era in circolazione per impedire possibili rivolte.


Giulio è stato sistematicamente seviziato e il colpo di grazia sembra corroborare l’ipotesi: davanti al ragazzo, probabilmente legato ad una sedia, qualcuno gli ha afferrato la testa, facendola ruotare oltre il punto di resistenza in modo repentino. Verosimilmente chi lo ha fatto intendeva estorcergli informazioni. Informazioni che, con grande probabilità, non sarebbero state date da Giulio, semplicemente perché non ne era in possesso.


Dunque, ci si chiede perché?


Perché l’Egitto sta tentando di ostacolare il raggiungimento della verità? Trattandosi di Servizi Segreti e polizia di regime, avrebbero potuto occultare il corpo e impedirne il ritrovamento.


Si tratta, allora, di banale routine della repressione? D’altra parte sono 400 gli oppositori politici scomparsi in pochi mesi nel paese.


Che qualcuno abbia interesse a incrinare i rapporti tra i due paesi? O meglio, può esserci qualcuno che abbia interesse nel gettare un fiammifero nella già delicata polveriera del Nord Africa?


Forse.


O forse, questo ragazzo, ricercatore universitario, si è inserito in un programma più grande di lui dal quale, però l’Università non gli ha insegnato ad uscirne.


24/04/2016 - Aggiornamenti

Fallisce il summit al Cairo tra le autorità dei due paesi, tra cui il generale Alaa Azmi, vice di Khaled Shalaby, già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia, successivamente reintegrato.

È stato un emerito flop: all’interno dei faldoni consegnati non c’è nulla che possa essere ricondotto alle famose due, tremila pagine annunciate. Più di ogni altra cosa, salta all’occhio la mancata consegna dei tabulati telefonici di una decina di utenze riconducibili ad altrettanti cittadini egiziani e le richieste relative al traffico di celle, elementi ritenuti indispensabili dalla Procura di Roma.

Inoltre nessuna informazione aggiuntiva circa la famigerata banda che avrebbe dovuto uccidere Giulio.

Decisa la risposta del Governo italiano, che richiama l’Ambasciatore dell'Italia in Egitto, Maurizio Massari.

Intanto continuano le indagini e secondo quanto riferito da diverse fonti, Giulio Regeni è stato detenuto dalla polizia e, successivamente, dopo essere stato portato alla stazione di polizia di Izbakiya per circa 30 minuti, è stato trasferito in un compound, il Lazoughli, gestito dal Dipartimento di sicurezza interno.

Le fonti, tre agenti dell'intellingence e tre fonti investigative, hanno detto chiaramente che Regeni è stato preso da alcuni poliziotti in borghese vicino alla stazione della metro di Gamal Abdel Nasser al Cairo la sera del 25 gennaio, smentendo quindi la versione ufficiale secondo cui i servizi di sicurezza non avrebbero mai arrestato il ricercatore italiano.


26/04/2016 - Aggiornamenti


Arrestato Ahmed Abdullah, presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, ONG per i diritti umani, che sta offrendo attività di consulenza ai legali della famiglia Regeni. Il dott. Ahmed Abdullah è stato prelevato dalla propria abitazione la notte tra il 24 e il 25 aprile, accusato di istigazione alla violenza per rovesciare il governo, adesione a un gruppo terroristico e promozione del terrorismo.


Amnesty International rende noto l’arresto di diverse persone importanti in Egitto, come personaggi pubblici, difensori dei diritti umani e attivisti. Tra tutti spiccano i nomi della famosa attivista Sanaa Seif e dell'avvocato Malek Adly.


Ma non solo. Sempre secondo Amnesty International si può constatare un inasprimento delle azioni repressive. Secondo il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, dal 21 aprile sono stati segnalati 238 arresti.


Intanto un ragazzo si trova in terapia intensiva: è stato trovato la notte tra il 22 e il 23 aprile, nudo, con evidenti segni di tortura, abbandonato sulla strada desertica che porta al Cairo. Se non fosse che ancora vi è vita in questo ragazzo, potremmo dire di trovarci davanti ad un altro caso Regeni.










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